Estratto da "ALVEARE" (NON DIMENTICATE QUESTE PAROLE)
"(...)Secondo te perché la mafia non è ancora morta, anzi quando sembra che stia per finire, quando dicono che fanno qualche arresto importante, si rigenera sempre più forte? (...) Te lo dico io perché? Perché la mafia è ovunque non c'è il senso della giustizia dentro le persone, cioè dentro tutti quanti, se levi la dignità. La giustizia, l'uguaglianza, sono cose da benestanti, ma da benestanti dell'anima intendo. Lo sai che in alcuni posti del mondo la 'ndrangheta non attecchisce?"
Lo sapevo bene (...) i paesi anglosassoni, i paesi scandinavi, non solo non avevano mai generato fenomeni autoctoni assimilabili alla mafia, ma in molti casi avevano anche respinto la colonizzazione. (...)
"Non attacca" ha proseguito Vincenzo, "come certe piante che le metti e poi lì dove sono muoiono, non trovano linfa vitale, deperiscono. Lo sai perché? Perché in quei Paesi il senso dell'altro nella gente è più forte del senso di se stessi. Ricordati 'sta cosa, che la mafia può esistere solo dove la gente vuole che esista. E' sempre una scelta."
"Non attacca" ha proseguito Vincenzo, "come certe piante che le metti e poi lì dove sono muoiono, non trovano linfa vitale, deperiscono. Lo sai perché? Perché in quei Paesi il senso dell'altro nella gente è più forte del senso di se stessi. Ricordati 'sta cosa, che la mafia può esistere solo dove la gente vuole che esista. E' sempre una scelta."
Ciao Giuseppe
è passato qualche giorno da quando
ho terminato di leggere “Alveare”, il libro che hai scritto sulla
colonizzazione della Lombardia da parte della ‘ndrangheta, ma c’è voluto del
tempo per metabolizzare quel che ho letto, c’è voluta molta forza per accettare
l’idea che negli stessi posti in cui io crescevo, in cui m’innamoravo della
vita, soffrivo, ridevo, scrivevo, sognavo… insomma... nei posti in cui
diventavo l’uomo che sono oggi, cresceva e prosperava anche la mafia calabrese!
Ho sofferto nel leggere i nomi di città a me care (Paderno Dugnano, Novate, Bresso, Bollate e molti altri, troppi purtroppo)come luoghi infestati dalla piaga
della mafia.
Più leggevo le tue parole e più mi rendevo conto che era mio dovere andare
avanti, pagina dopo pagina, era mio dovere aprire gli occhi e smetterla di
dormire su una realtà immacolata solo in superficie ma tossica al proprio interno.
La mafia è sempre stata sotto i miei
occhi, nelle notizie dei morti ammazzati in Lombardia che non fanno notizia come
quelli della Campania, della Calabria o della Sicilia; nei nomi di politici conniventi
che nei telegiornali passano come una folata di vento e nel catrame delle strade che ho percorso incosapevole. La mafia era nella storia di Lea
Garofalo che si svolgeva a pochi metri da me e che a troppe persone è tutt’ora sconosciuta.
Eppure era come se facessi finta di nulla!
Il tuo libro è una secchiata d’acqua
fredda, Giuseppe.
Mentre leggevo dei meccanismi con i
quali la ‘ndrangheta condiziona le nostre vite, insudicia la nostra terra e s’infiltra
nell’economia e nella politica senza alcun ostacolo, ero assillato da una
domanda, costante, monotona… “Com’è possibile che sia così invincibile?” “Com’è
possibile che non ci sia un antidoto a questo veleno silenzioso?”.
Avrei voluto chiamarti per avere da te una risposta, avrei voluto sentirti pronunciare parole di fiducia che mi
tranquillizzassero perché, dentro di me, qualcosa stava cambiando per sempre e
quel cambiamento aveva un nome: consapevolezza.
Ormai ero consapevole di vivere in
un territorio con profonde infiltrazioni mafiose (checché ne dica la Lega Nord)
ed era come se mi sentissi sporco io stesso, quasi colpevole per aver
sottovalutato il problema, permesso che accadesse.
Da quando ho terminato di leggere “Alveare” mi
sembra che Milano, la mia amata Milano, abbia una profonda ferita invisibile
che la rende triste nonostante Lei faccia di tutto per non far trapelare nulla.
L’accarezzo con lo sguardo e cerco di non trasmetterle la mia rabbia e la mia impotenza verso il suo dolore, forse…
inutilmente!
Non mi sono mai
sentito così calabrese, siciliano o campano,barese, di Fondi, di Sedriano, di Roma, di Modena e di Sondrio, non mi sono mai sentito così
italiano, fratelli uniti dalla stessa sventura ma anche dalla stessa voglia di
rivalsa.
Quel
tuo magnifico urlo inciso nelle righe finali di “Alveare” sia un monito per i
politici che hanno svenduto l’Italia alla cieca avidità criminale , sia
l’occasione per scuoterci dall’indifferenza,
e il traino per chi non si arrende alla disumanità criminale e per chi
ha voglia di unirsi ad esso… adesso!
Un
unico meraviglioso urlo italiano, un promemoria per non dimenticare che:
Non facciamolo!
Volevo ringraziarti Giuseppe per
aver scritto un libro che risveglia le coscienze.
Sarei orgoglioso di conoscerti perché ho provato enorme stima per il tuo lavoro, vorrei porti alcune di quelle domande sospese che le tue pagine mi hanno stimolato e mi piacerebbe parlare con te del tuo nuovo libro "Non dirmi che hai paura" in imminente uscita.
Sarei orgoglioso di conoscerti perché ho provato enorme stima per il tuo lavoro, vorrei porti alcune di quelle domande sospese che le tue pagine mi hanno stimolato e mi piacerebbe parlare con te del tuo nuovo libro "Non dirmi che hai paura" in imminente uscita.
Ti abbraccio
K
Giusepe Catozzella intervistato da "Le iene":
http://www.video.mediaset.it/video/iene/interviste/263995/intervista-giuseppe-catozzella.html
“Adesso che stai facendo il gesto di
chiudere questo libro ricorda che il lavoro vero comincia soltanto ora, fuori.” Giuseppe Catozzella -Alveare-
Il meraviglioso monologo sulle mafie di Roberto Saviano del 2010 a “Vieni via con me”,
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